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La bevanda conosciuta come “vino analcolico” è un’alternativa a quella alcolica perchè ha una gradazione alcolica dello 0,0% o inferiore allo 0,5%, grazie alla dealcolazione del vino. Talvolta, si fa erroneamente riferimento a bevande derivate da succhi o mosti di uva non completamente fermentati con la stessa denominazione. Chiaramente essi non sono dealcolizzati perchè non contengono alcol già all’origine della materia prima. Infatti la distinzione principale tra questi prodotti e il “vino analcolico” risiede nella materia prima utilizzata, che nel caso dei “vini analcolici” è il vino fermentato, e nel processo di dealcolazione stesso, che rimuove l’alcol dal vino. Questo non implica che le bevande derivate da succhi o mosti siano di qualità inferiore, poiché la qualità dipende tanto dai produttori di uve e dal vino di base, quanto dalle aziende che si occupano della dealcolazione professionale. Per il consumatore medio forse è più semplice distinguere tra i prodotti dealcolati derivati dal vino e quelli analcolici a base di succo o mosto di uva non fermentata.
Le differenze tra un comune succo o mosto d’uva e il “vino analcolico” emergono chiaramente durante la degustazione, sia all’olfatto che al gusto. È importante notare che la valutazione di un singolo prodotto non è indicativa dell’intera categoria.
I metodi di dealcolazione più comuni includono la filtrazione per osmosi inversa, prevalente in Italia, e la distillazione sotto vuoto, più comune all’estero. I “vini dealcolati” prodotti mediante distillazione sotto vuoto possono includere additivi chimici alimentari legalmente permessi e non dannosi nelle quantità stabilite dalle normative, come avviene per i solfiti nel vino tradizionale. Però i “vini senza alcol” ottenuti tramite filtrazione spesso non richiedono nemmeno additivi chimici per la stabilizzazione, in quanto vengono pastorizzati.
Non vi è un metodo superiore all’altro: la preferenza dipende dal gusto individuale e dalla qualità del prodotto finito.
È improprio paragonare i “vini dealcolati” ai vini tradizionali, poiché non sono vini ma piuttosto bevande analcoliche. Gli aspetti da considerare nella loro valutazione includono le proprietà organolettiche, che dovrebbero essere il più naturali possibile senza l’aggiunta di aromi artificiali che ne alterino il sapore; un colore che rifletta fedelmente quello della materia prima; una certa corposità, sebbene questa sia generalmente il punto debole dei “vini dealcolati”; e la presenza, anche se lieve, della struttura del vino originale e di altri componenti come lieviti, tannini o altri aromi, che non siano sovrastati da un eccesso di zuccheri residui.
I “vini dealcolati” non mirano a sostituire il vino tradizionale, ma offrono un’alternativa naturale e salutare per coloro che scelgono di non consumare alcol. La rimozione dell’alcol dal vino conserva molti dei benefici originari, specialmente nei vini rossi, come gli antiossidanti (polifenoli e resveratrolo) e i nutrienti (sali minerali), che sono componenti naturali del “vino analcolicol” e non aggiunte artificiali come in alcune bevande analcoliche industriali, che possono essere zuccherate, ipercaloriche o contenere edulcoranti e additivi artificiali.
Inoltre solo la dealcolazione totale porta allo 0,0% che permette la richiesta di certificazione Halal. Il cosiddetto “vino halal” è perciò una bevanda analcolica ottenuta dalla rimozione totale dell’alcol del vino che viene testata e analizzata da un organismo esterno autorizzato al rilascio del certificato Halal per l’esportazione nei paesi in cui è una caratteristica indispensabile per l’importazione.
In ogni caso essa diventa un’ulteriore attestazione per tutti i clienti dell’assenza totale di alcol.
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